Concorrenza sleale – Atti e come dimostrarla – Atti di concorrenza sleale: società – La slealtà concorrenziale – L’art. 2598 Codice Civile

Viviamo nell’ambito di un Ordinamento nel quale è sancito a livello costituzionale il principio di libertà dell’iniziativa economica privata (articolo 41 della Costituzione), principio peraltro reiterato e confermato anche a livello di Diritto dell’Unione Europea (articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea).

Concorrenza sleale società – Libera concorrenza non significa “Far West”

Tuttavia, ciò non significa che alla libera concorrenza non vi siano limiti. Tutt’al contrario, lo stesso art. 41 della Costituzione poc’anzi citato stabilisce anche che l’iniziativa economica privata “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana“. E nell’ambito dell’Unione Europea alla Commissione Europea è affidato il compito di salvaguardia del valore della lealtà concorrenziale.

La norma di riferimento è l’art. 2598 del Codice Civile

In particolare, poi, l’art. 2598 del Codice civile vieta determinati atti, considerandoli fattispecie di concorrenza sleale, ed in particolare:

  • atti di imitazione servile dei prodotti e/o dell’attività di un imprenditore concorrente;
  • atti idonei a generare confusione con i prodotti e/o con l’attività di un concorrente;
  • atti di denigrazione di un concorrente, oppure di appropriazione dei pregi di quest’ultimo;
  • atti anche non ricompresi nelle tipologie precedenti, ma comunque contrari ai princìpi della correttezza professionale ed idonei a danneggiare l’azienda altrui.

CONTATTACI SUBITO

Cosa si intende per concorrenza sleale?

Concorrenza sleale società: sono atti di sleale concorrenza tutti quegli atti che fuoriescono dalle regole tracciate dall’Ordinamento

Alla luce di quanto appena rilevato, pertanto, possiamo dire, in via di prima approssimazione, che sono atti di concorrenza sleale tutti quegli atti che si pongano al di fuori del perimetro delle regole di sistema tracciate dalla Costituzione, dalla disciplina dell’Unione Europea, ed ovviamente del Codice Civile, che agli artt. 2598 e ss. fornisce una regolamentazione specifica.

Si tratta quindi di tutti quegli atti non improntati a lealtà concorrenziale, atti scorretti dal punto di vista del rapporto di concorrenza, oppure, ancora, atti idonei a determinare turbative nel mercato di riferimento di determinati beni e/o servizi.

Quando si può parlare di concorrenza sleale?

Si parla di concorrenza sleale quando un’impresa, nell’ambito del mercato, adotta comportamenti che violano le regole della correttezza professionale, danneggiando i concorrenti o il sistema economico nel suo complesso. Ai sensi dell’art. 2598 del Codice Civile, si considerano sleali quelle condotte che creano confusione con i prodotti o servizi di un concorrente, che diffondono informazioni false o ingannevoli per screditarlo, o che sfruttano illecitamente la sua reputazione. Un’altra forma di concorrenza sleale è il parassitismo, cioè l’imitazione sistematica e ingiustificata delle strategie aziendali altrui. Tuttavia, per qualificare un comportamento come concorrenza sleale è necessario dimostrare che esso abbia effettivamente inciso negativamente sul mercato o abbia leso gli interessi economici del concorrente. In ogni caso, l’obiettivo del diritto della concorrenza è quello di garantire un mercato leale, trasparente e competitivo, tutelando così l’innovazione e la libertà imprenditoriale.

Quali sono gli atti di concorrenza sleale vietati?

Nell’ordinamento nazionale la norma che sanziona la concorrenza sleale è l’art. 2598 del Codice Civile, norma che prevede alcuni casi specifici di slealtà concorrenziale.

Casi di concorrenza sleale: l’art. 2598 c.c. prevede alcuni casi specifici

L’art. 2598 c.c. sanziona, in particolare, tre diversi gruppi di atti slealmente concorrenziali, stabilendo che compie atti di concorrenza sleale chiunque ponga in essere:

  1. Atti di imitazione e/o atti confusori;
  2. Atti di denigrazione o di appropriazione di pregi;
  3. Atti in generale scorretti, non conformi all’Ordinamento, e comunque idonei a danneggiare l’impresa altrui.

Atti di imitazione e/o confusori

Si tratta di comportamenti di imitazione dei segni distintivi di un’altra impresa (marchio, insegna, ditta) oppure, ancora, di comportamenti imitativi dei prodotti di un’impresa concorrente. In particolare, l’art. 2598 n. 1 c.c. sanziona colui il quale “usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente“.

La norma è chiara: si pensi, ad esempio, al produttore di orologi che impieghi un marchio confondibile con quello di un produttore noto (“VOLEX”, ad esempio, o “EMILTON”), oppure commercializzi prodotti simili a quelli di un altro concorrente, idonei a creare anche solo potenzialmente confusione nel pubblico dei clienti. 

Atti di denigrazione e/o appropriazione di pregi

La norma dell’art. 2598, n. 2, c.c., si riferisce a colui il quale “diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito, o si appropria di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente“. Frequenti, ad esempio, in relazione alla denigrazione, i casi di pubblicità comparativa dispregiativa, ove vengono messi a confronto due prodotti determinando un effetto dispregiativo nei confronti di uno essi. Altrettanto frequenti, poi, sono i casi di vera e propria denigrazione mediante diffusione di notizie screditanti, che possono riguardare sia i prodotti che la stessa attività di un concorrente. 

Atti “scorretti”

Secondo l’art. 2598, n. 3, c.c., va sanzionato il concorrente che “si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda“. Si tratta di una norma c.d. di chiusura.

Infatti, mentre i nn. 1 e 2 dell’art. 2598 tratteggiano comportamenti ben individuati, il n. 3 si riferisce a condotte non tipizzate, non specificamente identificate in anticipo, in modo da consentire all’interprete di farvi rientrare comportamenti che, seppure non corrispondenti agli schemi tipici di cui ai nn. 1 e 2, abbiano comunque due caratteristiche ben precise:

  1. siano “scorretti”, cioè non conformi a principi della correttezza professionale (così come “vissuti” nell’ambito del mercato di riferimento specifico della singola attività)
  2. siano “idonei a danneggiare l’altrui azienda”

Si noti come in questo specifico caso la Legge richieda anche la prova dell'”idoneità a ledere” l’azienda altrui, elemento che invece nei casi previsti dai nn. 1 e 2 dell’art. 2598 c.c. era dato per implicito nella particolare tipologia di comportamento sanzionato. Nel n. 3 dell’art. 2598 c.c. vengono fatti rientrare una serie di condotte che determinano un vantaggio competitivo illecito: si va dall’evasione fiscale, alla vendita sottocosto, alla violazione della disciplina giuslavoristica, alla concorrenza c.d. parassitaria (sul punto consulta anche QUESTO ARTICOLO).

Come dimostrare la concorrenza sleale?

Per dimostrare la concorrenza sleale è fondamentale raccogliere prove tangibili che attestino le condotte illecite del concorrente. Innanzitutto, occorre documentare dettagliatamente gli atti che violano le norme di correttezza professionale, come l’imitazione servile di prodotti, l’appropriazione indebita di segreti aziendali o la diffusione di informazioni denigratorie.

È essenziale evidenziare il nesso causale tra tali comportamenti e il danno subito, mostrando come essi abbiano inciso negativamente sulla propria attività economica. Strumenti utili possono essere: testimonianze, corrispondenze commerciali, analisi di mercato e qualsiasi elemento che possa comprovare l’alterazione della leale concorrenza.

Inoltre, per le ipotesi più tecniche, è consigliabile avvalersi di consulenze tecniche o perizie che possano supportare le proprie tesi. Un’azione tempestiva e ben strutturata, magari richiedendo una consulenza sulla concorrenza sleale a professionisti esperti del settore, aumenta significativamente le probabilità di successo in sede giudiziaria. In sintesi, la chiave risiede in una combinazione di prove solide e una strategia legale accuratamente pianificata.

I casi di concorrenza sleale dello Studio Legale Adamo

Società e concorrenza sleale – Ci occupiamo da oltre un ventennio di casi di concorrenza sleale e di rapporti tra imprese (guarda i nostri SERVIZI), ed abbiamo trattato numerosissime ipotesi di concorrenza, svolgendo attività di assistenza e difesa a favore di imprese vittime dell’altrui slealtà concorrenziale, ovvero, viceversa, di imprese ingiustamente accusate di porre in essere atti di concorrenza sleale vietati dalla Legge. 

I casi di concorrenza sleale trattati

Abbiamo trattato, in particolare, molti casi delle più varie tipologie, tra i quali, fra l’altro:

Concorrenza sleale società – Hai bisogno di consulenza e assistenza legale in tema di concorrenza sleale? Contattaci subito 051.19901374

Oppure compila il form qui sotto