La concorrenza parassitaria è sleale
La concorrenza parassitaria è sleale – Cos’è la concorrenza sleale parassitaria – Come agire contro la concorrenza parassitaria
Cos’è la concorrenza sleale parassitaria: l’analisi della Corte di Cassazione
La concorrenza parassitaria è sleale – Con la pronuncia n. 22118, depositata in data 29 ottobre 2015, la Suprema Corte di Cassazione ha specificato cos’è la concorrenza sleale parassitaria, inquadrabile come violazione dei principi di correttezza professionale di cui all’art. 2598 n. 3 c.c., contemplandone un’analisi concreta, che consenta, in modo più aderente all’odierna realtà giuridica, di individuare specifici elementi di slealtà concorrenziale con finalità parassitarie. In tale recentissima sentenza, la Suprema Corte ribadisce la nozione stessa della figura dell’illecito, sottolineando che la concorrenza sleale parassitaria consiste in un “continuo e sistematico operare sulle orme dell’imprenditore concorrente attraverso l’imitazione non tanto dei prodotti ma piuttosto di rilevanti iniziative imprenditoriali di quest’ultimo e riguardante comportamenti idonei a danneggiare l’altrui azienda con ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale“.
Il caso oggetto della pronuncia
La controversia in questione riguardava una consolidata azienda di Loreto, specializzata nella lavorazione di articoli religiosi , la quale contestava una sentenza della Corte d’Appello di Venezia che aveva parzialmente accolto le richieste della convenuta, altra società concorrente nello stesso settore, confermando la sentenza di primo grado in ordine alla contraffazione dei diritti di privativa nella titolarità della convenuta ed alla sussistenza degli atti di concorrenza sleale, ex art. 2598 c.c., n. 3, con l’inibitoria alla società loretina di commercializzare e pubblicare, sotto ogni forma, gli oggetti religiosi, dei quali la Corte aveva accertato l’invalidità. Sulla base di tali accertamenti di invalidità, il giudice di appello aveva poi concluso per la piena responsabilità della azienda loretina, per gli atti di concorrenza sleale compiuti, da qualificarsi come concorrenza diacronica, ovvero la condotta di chi sistematicamente riproduce i passi imprenditoriali altrui, imitandone tutte o quasi le iniziative, con l’effetto di trarre parassitariamente un vantaggio concorrenziale e un conseguente profitto di risorse e patrimonio aziendali non propri. Contro tale decisione, si proponeva ricorso per Cassazione e il giudice della Suprema Corte ha statuito che il giudice di appello, pur richiamando i requisiti essenziali per l’integrazione della condotta di parassitismo, non ha spiegato se essi abbiano integrato o meno il comportamento della società ricorrente. La concorrenza sleale parassitaria ricompresa fra le ipotesi previste dall’art. 2598, n. 3, c.c., “si riferisce a mezzi diversi e distinti da quelli relativi ai casi tipici di cui ai precedenti nn. 1 e 2 della medesima disposizione, sicchè, ove si sia correttamente escluso nell’elemento dell’imitazione servile dei prodotti altrui il centro dell’attività imitativa debbono essere indicate del concorrente sistematicamente e durevolmente plagiate, con l’adozione e lo sfruttamento, più o meno integrale ed immediato, di ogni sua iniziativa, studio o ricerca, contrari alle regole della correttezza professionale“.
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