Imitazione dello slogan e concorrenza sleale

Imitazione dello slogan e concorrenza sleale – Copiare lo slogan è illecito – Imitazione della campagna pubblicitaria – Trib. Roma, 20 ottobre 2022

Silvia Squilloni e Giovanni Adamo

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Imitazione dello slogan e concorrenza sleale

Quando uno slogan pubblicitario può costituire un diritto di esclusiva di uso e consumo? Se ne occupa un’interessante Ordinanza del Tribunale di Roma del 20 ottobre 2022 che analizza l’utilizzo della medesima frase da parte di due diverse Società in un contesto nel quale veniva addotta una imitazione della campagna pubblicitaria.

Per capire se copiare lo slogan è illecito occorre chiedersi cosa può essere oggetto di tutela

Si possono registrare come marchio le parole, se hanno efficacia distintiva di un prodotto o di un’impresa

Il Codice di Proprietà Industriale tutela i diritti di proprietà industriale del marchio, acquisiti dal titolare mediante  la registrazione dello stesso.

Ai sensi dell’articolo 7 CPI possono essere oggetto di registrazione i marchi che hanno ad oggetto “i segni suscettibili di essere rappresentati graficamente, le parole, i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, i suoni, forma del prodotto o della confezione di esso, le combinazioni o le tonalità cromatichepurchè siano atti a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese.

Ai fini del deposito della domanda di registrazione del marchio il titolare dovrà accertarsi che il marchio abbia determinate caratteristiche: novità del marchio (Art. 12 CPI), la sua capacità distintiva (Art. 13 CPI) e la sua liceità.

Imitazione della campagna pubblicitaria – Si può copiare lo slogan pubblicitario? la vicenda

La Società X depositava avanti il Tribunale di Roma un ricorso inaudita altera parte con richiesta di disposizione di descrizione ex art. 128, comma 4, CPI, sui prodotti a marchio “C******** ****** * *e” – oggetto di richiesta di registrazione presso l’Ufficio italiano marchi e brevetti – oltre che sugli elementi di prova concernenti la violazione dei diritti di proprietà intellettuale detenuti dalla ricorrente nei confronti della Società Y; chiedeva poi il sequestro dei prodotti contraffattivi commercializzati dalla società resistente denunciando atti di concorrenza sleale ai propri danni.

Secondo la resistente le parole d’uso comune non avrebbero potuto costituire oggetto di privativa

Il Tribunale fissava l’udienza nel contraddittorio delle parti e si costituiva la Società resistente Y, la quale non contestava l’utilizzo della frase “C******** ****** * *e”, ma riportava giurisprudenza di legittimità a supporto del suo utilizzo: “Le parole di uso comune relative al genere di un prodotto, per costituire oggetto di valido marchio, devono avere subito una modificazione tale da oscurare il loro originale significato linguistico, e divenendo tali da designare, con forte individuazione, un nuovo prodotto, perché impiegate in senso arbitrario, fantastico, iperbolico, senza alcuna aderenza concettuale con l’oggetto che sono destinate a contraddistinguere” (Cass., 27/04/2018, n.10300).

Il Tribunale si riservava.

Slogan e concorrenza sleale – Le valutazioni del Tribunale

Il Tribunale di Roma, pertanto, riportava un orientamento della Suprema Corte, la quale affermava che “non tutte le frasi possano esprimere un’idonea distintività quali marchi d’impresa, posto che la registrazione conferisce al titolare un diritto di esclusiva che deve necessariamente bilanciarsi con l’uso comune che venga effettuato di tali espressioni.”

Occorre distinguere caso per caso

Aggiungeva, poi, che “se da un lato le frasi comuni o gli slogan possono essere oggetto di registrazione quali marchi ai sensi dell’art. 7 CPI, dall’altro lato occorre porre particolare risalto alle caratteristiche intrinseche della capacità distintiva del marchio come coniugata dall’art. 13 del medesimo testo normativo, al fine di evitare il formarsi di situazioni di indebita appropriazione da parte delle società di espressioni comuni, generali e per ciò stesso non accaparrabili da nessuno a discapito dell’uso comune. Appare quindi necessario che le imprese non ritaglino a proprio esclusivo uso e consumo espressioni già ampiamente usate dal mercato, per difetto di novità o per banalità, ovvero perché intrinsecamente prive di valore evocativo/distintivo.”

Sul punto si è espressa anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel caso AUDI, la quale affermava quali principi ai fini della registrabilità degli slogan:

  • agli slogan non vanno applicati criteri più restrittivi di quelli utilizzabili per altri tipi di segni;
  • ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, sono esclusi dalla registrazione i soli marchi privi di carattere distintivo;
  • un marchio ha carattere distintivo allorquando permette di identificare il prodotto per il quale è chiesta la registrazione, come proveniente da un’impresa determinata e, dunque, di distinguere tale prodotto da quelli di altre imprese;
  • il carattere distintivo dev’essere valutato in funzione, da un lato, dei prodotti o dei servizi per i quali è chiesta la registrazione e, dall’altro, della percezione che ne ha il pubblico di riferimento.

Imitazione dello slogan e concorrenza sleale – Conclusioni

Vietato copiare lo slogan, se esso è “distintivo” dei prodotti o dell’impresa

Pertanto, l’Ill.mo Tribunale adito rilevava la sussistenza degli elementi necessari di distintività ex art. 13 CPI in relazione al marchio “C******** ****** * *e”, iscritto in data 2 maggio 2022 con domanda depositata il 29 Aprile 2022, in quanto aveva “un’intrinseca capacità distintiva, non riflettendo in esso frasi comuni impiegate né nel linguaggio corrente, né nel gergo calcistico (i pochi esempi presentati dalla resistente non sono indicativi di un uso generalizzato della fase), e possedendo la frase una capacità distintiva sui prodotti effettivamente commercializzati da Società X per mezzo delle mandatarie” e riconosceva allo slogan la tutela riconosciutagli in fase di registrazione dall’art. 132 CPI, essendo la domanda perfettamente nota alla resistente. Disponeva, pertanto, “la descrizione di tutti i prodotti contraddistinti dal Marchio “C******** ****** * *e” che si trovino nella disponibilità della resistente, anche presso terzi depositari” e inibiva alla Società Y “l’uso del marchio “C******** ****** * *e” in qualsiasi forma ordinando il ritiro dal mercato dei suddetti prodotti, a propria cura e spese, nonché del relativo materiale pubblicitario, comprese etichette, cataloghi, manuali d’uso, flyer, ai sensi e per gli effetti dell’art. 131 CPI”.

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