Concorrenza parassitaria e imitazione servile

Concorrenza parassitaria e imitazione servile – Quando il concorrente copia tutto – Come sconfiggere la concorrenza sleale parassitaria

Giovanni Adamo

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Concorrenza parassitaria e imitazione servile – Che fare quando il concorrente copia tutto

Si pronuncia il Tribunale di Milano, Sezione specializzata in materia di impresa, con una Sentenza del 16 febbraio 2016 in materia di concorrenza parassitaria e imitazione servile. La controversia ha interessato una nota azienda italiana, leader nel settore della produzione di articoli decorativi sia a livello nazionale che internazionale nonchè titolare di un noto e prestigioso marchio. L’azienda aveva agito in via d’urgenza contro una società concorrente chiedendo la tempestiva tutela dei propri prodotti: in particolare, la ricorrente lamentava che gli articoli commercializzati e venduti dalla controparte costituissero concorrenza parassitaria e imitazione servile, rilevante sotto il profilo della concorrenza sleale confusoria, del proprio anteriore prodotto. Il giudice del cautelare aveva accolto le richieste, provvedendo al sequestro di tutti gli articoli in contraffazione e inibendo la fabbricazione, l’importazione e il commercio dei prodotti, dopodichè, la ricorrente, aveva introdotto il giudizio di merito per l’accertamento definitivo degli addebiti, cioè la contraffazione dei modelli registrati, la violazione del diritto d’autore e la concorrenza sleale ex art. 2598 n. 1, 2 e 3 c.c, nonchè per la condanna al risarcimento dei danni.

Quando il concorrente copia tutto: le valutazioni del Tribunale di Milano

Come sconfiggere la concorrenza sleale parassitaria

Nel caso sottoposto al suo esame il Tribunale di Milano ha pienamente riconosciuto le ragioni della parte attrice, accertando che le condotte di controparte costituiscono sia contraffazione del modello registrato sia atti di concorrenza sleale. In particolare, in merito al primo punto la pronuncia statuisce che “le forme oggetto di registrazione sono dotate di caratteristiche individualizzanti, tali da consentire all’utilizzatore informato, ma anche al consumatore medio, una netta distinzione rispetto agli altri prodotti, e che “le figurine delle società menzionate dalla convenuta, pur rielaborando soggetti simili, non presentino il carattere distintivo dei prodotti di parte attrice, fondando semmai un riscontro probatorio di forme di indebito agganciamento a questa”. Quanto alla concorrenza sleale, il Collegio ha ritenuto sussistere tanto l’appropriazione di pregi, quanto concorrenza parassitaria e imitazione servile, ritenendo evidente “l’imitazione pedissequa e fedele dei prodotti della più famosa concorrente, tale da ingenerare nel consumatore medio l’effetto confusorio circa l’origine del prodotto acquistato, connotando la condotta della convenuta di quella slealtà censurabile ai sensi della fattispecie di imitazione servile“. Sempre sotto tale profilo, il Collegio ha evidenziato come la controparte si sia “agganciata indebitamente alla notorietà di cui gode la parte attrice, approfittando in modo parassitario del suo lavoro e degli investimenti che si sono resi necessari ai fini di tale accreditamento positivo“, e come le scelte della controparte “riproducono in modo non casuale e ripetitivo le scelte stilistiche e, dunque, le iniziative imprenditoriali di parte attrice. Tale forma di concorrenza si realizza, difatti, mediante un continuo e sistematico operare sulle orme dell’imprenditore concorrente”.

Il Tribunale ha condannato la convenuta al risarcimento del danno, ordinato il ritiro dal mercato e la distruzione dei prodotti ritenuti in violazione del diritto d’autore e inibendo la continuazione delle condotte illecite. Ha altresì disposto la pubblicazione della sentenza su apposite riviste specializzate.

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