Greenwashing e pubblicità ingannevole

Greenwashing e pubblicità ingannevole: 8 milioni di sanzione

Greenwashing e pubblicità ingannevole – Greenwashing: cos’è – Normativa sul Greenwashing e pratiche commerciali scorrette – Il Provvedimento AGCM del 21 gennaio 2025

di Sandra Sammartino – Giovanni Adamo

Negli ultimi anni, l’attenzione rivolta alle tematiche ambientali è cresciuta in modo esponenziale. Molte imprese hanno deciso di adottare strategie di marketing e comunicazione finalizzate a evidenziare l’impegno “green” delle proprie attività e dei propri prodotti. Tuttavia, esistono situazioni in cui le dichiarazioni di sostenibilità vengono utilizzate in maniera strumentale, confusa o addirittura ingannevole, generando il fenomeno del cosiddetto greenwashing. È in tale contesto che si inserisce la recente decisione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), che ha irrogato una maxi-sanzione complessiva di 8 milioni di euro nei confronti di due società del settore dei trasporti, ritenute responsabili di pratiche commerciali scorrette. Di seguito analizzeremo i punti salienti della vicenda, le ragioni che hanno condotto alla sanzione e le implicazioni di ordine legale per aziende e consumatori.

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Introduzione al fenomeno del greenwashing: cos’è

Il termine greenwashing indica l’insieme di tecniche di comunicazione e marketing attraverso le quali un’azienda enfatizza o rappresenta in modo fuorviante le proprie credenziali ambientali. In altri termini, si tratta di un “lavaggio verde” dell’immagine aziendale, che mira a sottolineare l’attenzione per la sostenibilità ambientale quando, in realtà, l’impegno concreto in tale ambito è limitato, inesistente o comunque non corrispondente alle affermazioni pubbliche. Le pratiche di greenwashing non solo violano le norme del Codice del Consumo in tema di trasparenza e corretta informazione, ma danneggiano anche il mercato, inducendo in errore i consumatori e distorcendo la concorrenza.

Giurisprudenza e normativa sul Greenwashing – Il Tribunale di Gorizia e la Direttiva UE 825 del 2024

Il greenwashing è stato oggetto di una prima applicazione giurisprudenziale nel 2021 ad opera del Tribunale di Gorizia (QUI il provvedimento), e poi anche di un primo atto normativo nel 2024, attraverso la Direttiva UE 825 del 2024, che dispone che gli Stati membri entro il 2026 adeguino le disposizioni nazionali a quelle della Direttiva in punto di greenwashing e pubblicità ingannevole. 

Con il crescere della sensibilità ambientale, peraltro, i consumatori – siano essi privati o imprese – prestano sempre più attenzione alle emissioni di CO2 e all’impatto ambientale dei servizi o dei prodotti che acquistano, e ciò finirà necessariamente con l’influenzare la giurisprudenza e la normativa sul greenwashing. Un’impresa che si dichiara ecologica o sostenibile, se priva di reali e verificabili azioni concrete, finisce per violare la fiducia del pubblico. L’AGCM, proprio alla luce di ciò, monitora attivamente le iniziative di comunicazione “green” per verificare che non vengano diffuse informazioni inesatte, incomplete o potenzialmente ingannevoli.

Greenwashing e pubblicità ingannevole – Il caso esaminato dall’AGCM

Nel caso recente, risalente all’adunanza del 21 gennaio scorso, l’AGCM ha esaminato il comportamento di due società appartenenti allo stesso gruppo operante nel settore dei trasporti e delle spedizioni. L’Autorità ha ritenuto che tali società avessero posto in essere due pratiche commerciali scorrette, in violazione degli articoli 20, 21, 22 e 26 (lettera f) del Codice del Consumo. Queste pratiche, sebbene diverse tra loro, erano accomunate da un utilizzo improprio, ambiguo e potenzialmente ingannevole di asserzioni ambientali finalizzate a pubblicizzare un impegno ecologico che, per l’AGCM, non rispettava i requisiti di trasparenza e rigore necessari.

Secondo l’indagine dell’Autorità, le imprese in questione hanno promosso campagne di comunicazione che enfatizzavano la realizzazione di importanti iniziative di sostenibilità, presentandole come già operative ed efficaci nella riduzione e compensazione delle emissioni di CO2. A ciò si aggiungeva la richiesta di un contributo economico da parte dei clienti, con la prospettiva di ottenere un certificato nominale di compensazione delle emissioni.

La sanzione complessiva di 8 milioni di euro è stata comminata tenendo conto di due profili di condotta contestati:

  1. L’ambiguità e l’incompletezza delle dichiarazioni ambientali rivolte a consumatori e aziende clienti.
  2. L’imposizione ai clienti di un contributo economico vincolato al rilascio di un certificato di compensazione, senza che ciò fosse accompagnato da un’adeguata informazione e da un metodo di calcolo attendibile.

Pratiche commerciali scorrette e greenwashing: cos’è nel caso esaminato dall’Autorità

Greenwashing e pubblicità ingannevole – La prima pratica esaminata: ambiguità delle asserzioni ambientali

La prima condotta sanzionata riguarda la comunicazione diffusa sul sito web della società, nonché tramite campagne pubblicitarie e canali di marketing. In tali comunicazioni, le società promuovevano iniziative di riduzione e compensazione delle emissioni di CO2 come se fossero già ampiamente operative e in grado di incidere in modo significativo sull’impatto ambientale dei servizi di trasporto offerti.

Pratiche commerciali scorrette e greenwashing – Vi era ambiguità di base nella comunicazione

  • Le dichiarazioni non facevano una chiara distinzione tra i concetti di “riduzione” e “compensazione” delle emissioni di CO2, generando confusione in merito alla reale efficacia delle azioni intraprese.
  • I messaggi pubblicitari e i “claims” ambientali lasciavano intendere che il servizio di trasporto fosse già riconosciuto (o in via di riconoscimento) con una qualche forma di certificazione indipendente e definitiva.
  • La differenza tra l’impegno “autonomo” della società e l’eventuale contributo dei clienti non era chiarita in modo esaustivo, creando un quadro comunicativo potenzialmente fuorviante.

Le motivazioni impiegate dall’Autorità

L’AGCM ha rilevato come, attraverso queste asserzioni ritenesse realizzata la connessione tra greenwashing e pubblicità ingannevole. In questo modo, a parere dell’Autorità, l’azienda aveva dato l’impressione di essere già pienamente allineata a standard ambientali di eccellenza, inducendo consumatori e imprese clienti a considerare il servizio proposto come meno inquinante di quanto fosse in realtà. In tal modo, si generava un vantaggio competitivo distorto sul mercato, basato su informazioni non sufficientemente verificate.

Greenwashing e pubblicità ingannevole – La seconda pratica: imposizione del contributo e certificato nominale

La seconda pratica contestata si riferiva alla richiesta – di fatto automatica, salvo rarissime eccezioni – di un contributo economico che i clienti avrebbero dovuto pagare per supportare iniziative di compensazione delle emissioni. In cambio, la società prometteva il rilascio di un certificato personalizzato, attestante il livello di compensazione di CO2 raggiunto dal singolo cliente.

Greenwashing: Cos’è – Pratiche commerciali scorrette e greenwashing – le Principali criticità rilevate

  • Contributo “obbligatorio”: l’AGCM ha evidenziato che gli abbonati, in particolare quelli di dimensioni minori e con minor potere negoziale, erano di fatto costretti a pagare questo importo aggiuntivo, mentre i clienti “più grandi” spesso venivano esentati o beneficiavano di trattamenti di favore.
  • Metodo di calcolo opaco: i dati raccolti per la certificazione customizzata venivano elaborati mediante un sistema che, secondo l’Autorità, non rispettava gli standard di settore e non garantiva l’attendibilità del calcolo delle emissioni effettive.
  • Silenzio assenso e trasparenza: l’adesione al progetto era impostata in modo tale che, in assenza di una esplicita opposizione, il cliente veniva automaticamente inserito nel programma di compensazione con relativi costi. Le informazioni fornite non erano in grado di chiarire adeguatamente che tale importo fosse un servizio aggiuntivo e non parte del canone di abbonamento.
  • Spese sostenute dai clienti superiori al costo delle iniziative: è emerso inoltre che i fondi raccolti superavano di gran lunga i costi che la società riconduceva ai progetti “verdi” portati avanti, con evidenti squilibri tra i benefici effettivi (per la sostenibilità) e i costi a carico della clientela.

Tale seconda pratica si salda con la prima, in quanto la promessa di un servizio più ecologico e certificato è stata resa credibile, agli occhi dei clienti, proprio dalla narrazione di un impegno ambientale che – secondo la valutazione dell’AGCM – appariva ben più ampio e strutturato di quanto non fosse nella realtà.

Il greenwashing: cos’è e come si delineava in questo caso – l’approccio dell’AGCM e le ragioni della sanzione

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato riveste un ruolo centrale nel vigilare su greenwashing e pubblicità ingannevole, nonché in generale sulle pratiche commerciali scorrette e sleali.

Greenwashing: cos’è – le singole norme violate 

In questo caso, l’AGCM ha contestato gli artt. 20, 21, 22 e 26 (lettera f) del Codice del Consumo, che impongono alle imprese di fornire informazioni chiare, veritiere e complete sui prodotti e servizi offerti, evitando di generare confusione o di sfruttare la debolezza contrattuale dei consumatori.

Violazioni principali individuate

  1. Articolo 20 Codice del Consumo: proibisce pratiche commerciali contrarie alla diligenza professionale e suscettibili di falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore medio.
  2. Articolo 21 Codice del Consumo: vieta le azioni ingannevoli, ossia le pratiche che contengono informazioni non corrispondenti al vero o che possono indurre in errore il consumatore medio su elementi chiave del servizio.
  3. Articolo 22 Codice del Consumo: disciplina l’omissione ingannevole, vietando di omettere o celare informazioni rilevanti di cui il consumatore ha bisogno per prendere una decisione commerciale consapevole.
  4. Articolo 26 (lettera f) Codice del Consumo: considera sleale ogni pratica che comporti affermazioni inesatte o false in merito agli effetti ambientali di un prodotto o servizio, inducendo così il consumatore medio a un comportamento economico che altrimenti non avrebbe tenuto.

Greenwashing: cos’è – La veicolazione ingiustificata di una “percezione verde e sostenibile”

Queste norme sono state ritenute violate poiché, secondo l’AGCM, le società hanno veicolato una percezione “verde” e sostenibile del proprio servizio di trasporto, che non corrispondeva alla realtà dei fatti, soprattutto in ragione dell’uso ambiguo dei termini “riduzione” e “compensazione” e dell’incompletezza delle informazioni messe a disposizione.

Greenwashing e pratiche commerciali scorrette – La portata della sanzione da 8 milioni di euro

L’entità della sanzione pecuniaria, pari a 8 milioni di euro complessivi, è significativa e tiene conto di diverse circostanze che l’Autorità ha ritenuto aggravanti rispetto al contesto di greenwashing e pubblicità ingannevole posto in essere, secondo l’Autorità, dalla Società. In particolare l’Autorità ha tenuto conto dei seguenti elementi:

  • Dimensioni del gruppo e risonanza mediatica: si tratta di un player di rilievo nel settore dei trasporti, con una vasta platea di clienti e un’importante presenza sul mercato nazionale e internazionale. L’impatto delle dichiarazioni ambientali fuorvianti è stato dunque particolarmente ampio.
  • Durata della pratica: la campagna pubblicitaria e la richiesta di contributi sono state condotte per diversi mesi, con modalità ripetute e sistematiche.
  • Vantaggio competitivo ottenuto: l’immagine “green” ha potenzialmente favorito le società nel confronto concorrenziale, attirando clienti sensibili al tema della sostenibilità ambientale.
  • Disallineamento tra costi e benefici per l’ambiente: i fondi ottenuti dal contributo dei clienti erano notevolmente superiori all’effettivo impiego nei progetti dichiarati, secondo quanto emerso dall’istruttoria.

Vale la pena ricordare che la sanzione dell’AGCM non è definitiva, in quanto le società possono presentare ricorso davanti al TAR del Lazio per contestare i rilievi e chiedere l’annullamento o la riduzione della penalità (sull’impugnazione dei provvedimenti dell’Autorità Garante vedi QUESTO ARTICOLO). Tuttavia, qualora il provvedimento dell’Autorità fosse confermato, resterebbe come un importante precedente in materia di green claims e trasparenza delle comunicazioni ambientali.

Greenwashing e pubblicità ingannevole: rischi e possibili responsabilità – Greenwashing: cos’è e perché è pericoloso

Greenwashing: cos’è e perché è pericoloso per le aziende realizzare greenwashing e pratiche commerciali scorrette

Il caso in esame rappresenta un monito significativo per tutte le aziende che, in modo più o meno consapevole, facciano uso di comunicazioni ambientali e pongano in essere attività di greenwashing e pubblicità ingannevole. Gli elementi emersi delineano potenziali profili di responsabilità e offrono una guida sulle best practice da seguire per evitare sanzioni e danni reputazionali.

  1. Trasparenza delle informazioni
    È essenziale fornire un quadro informativo chiaro e accurato. Dichiarare che un’attività o un prodotto sono “ecologici” o “sostenibili” richiede di specificare in che misura e con quali metodologie si valuti l’impatto ambientale. Eventuali certificazioni vanno menzionate in modo rigoroso, chiarendo se siano state effettivamente ottenute o se si tratti di processi in corso.
  2. Verificabilità delle asserzioni
    Dichiarazioni come “riduzione delle emissioni di CO2” o “compensazione dell’impatto ambientale” devono basarsi su dati misurabili, affidabili e possibilmente verificate da enti indipendenti. Laddove ci si affidi a calcoli interni, è fondamentale che la metodologia sia conforme agli standard internazionali (ad esempio ISO) e che sia illustrata con la massima chiarezza ai clienti.
  3. Distinzione tra riduzione e compensazione
    Il concetto di “compensazione” comporta spesso il finanziamento di progetti esterni (riforestazione, energie rinnovabili, etc.) che bilanciano in parte le emissioni prodotte. La “riduzione”, invece, implica l’adozione di soluzioni tecnologiche o organizzative che abbattano la quantità di inquinanti generata. Confondere i due termini può indurre in errore il consumatore sulla reale portata delle iniziative intraprese.
  4. Evitare contributi occulti o forzati
    Se si prevede un meccanismo di partecipazione economica da parte del cliente per sostenere progetti ambientali, occorre informarlo in modo puntuale e trasparente. Il contributo deve essere facoltativo, e ogni cliente deve poter valutare liberamente se aderire o meno, senza subire penalizzazioni.
  5. Adozione di un piano di investimenti chiaro
    Prima di lanciare sul mercato un’offerta “green”, un’azienda dovrebbe avere un piano ben delineato sugli interventi concreti che intende effettuare, stabilendo un nesso causale diretto fra l’eventuale contributo richiesto e le reali azioni di compensazione o riduzione delle emissioni. L’assenza di un piano preventivo può facilmente tradursi in una mancanza di trasparenza e nella conseguente configurabilità di una pratica scorretta.
  6. Conseguenze reputazionali e legali
    Oltre all’onere di una sanzione economica elevata, le pratiche di greenwashing comportano seri rischi sul piano reputazionale. Un’azienda che perde credibilità per via di affermazioni mendaci o fuorvianti in campo ambientale rischia di subire un crollo della fiducia da parte di consumatori, partner commerciali e investitori. Dal punto di vista legale, le violazioni in materia di pubblicità ingannevole e pratiche commerciali scorrette possono dar luogo anche ad ulteriori azioni risarcitorie, qualora i soggetti interessati, cioè non solo consumatori, ma segnatamente anche concorrenti ritengano di aver subito un danno.

Greenwashing: cos’è – Conclusioni

La sanzione di 8 milioni di euro inflitta dall’AGCM alle due società del comparto trasporto per greenwashing e pratiche commerciali scorrette rappresenta un chiaro segnale di quanto l’Autorità, e più in generale l’intero ordinamento, siano particolarmente attenti a tutelare la corretta informazione del consumatore su tematiche ambientali. Il caso mostra che l’enfasi su sostenibilità e riduzione delle emissioni di CO2 deve essere supportata da dati concreti, trasparenti e verificabili, nonché da una comunicazione chiara, che non lasci spazio a interpretazioni fuorvianti.

Il messaggio che ne deriva per le imprese è duplice. Da un lato, investire in strategie green autentiche e scientificamente fondate può costituire un reale vantaggio competitivo, in quanto risponde alla sempre più diffusa domanda di servizi e prodotti a basso impatto ambientale. Dall’altro, qualora la sostenibilità venga impiegata soltanto come slogan o artificio comunicativo, senza un corrispettivo impegno effettivo e documentabile, si incorre in rischi legali e reputazionali significativi.

È opportuno, quindi, che gli operatori economici si dotino di piani d’azione solidi e verificabili e che strutturino con cura i propri messaggi pubblicitari o promozionali. In caso di dubbi sulla liceità di un claim ambientale, è consigliabile rivolgersi a professionisti esperti in diritto della concorrenza e tutela del consumatore, così da evitare il coinvolgimento in procedimenti che potrebbero sfociare in ingenti sanzioni e in una rilevante perdita di credibilità sul mercato.

Infine, i consumatori – siano essi imprese o persone fisiche – dovrebbero sviluppare una maggiore consapevolezza, informandosi in modo approfondito sulle iniziative ambientali dichiarate dalle aziende prima di effettuare scelte di acquisto o di partnership. Un mercato veramente sostenibile si basa non solo sulle norme e sulle sanzioni, ma anche sulla responsabilità collettiva di tutti gli attori coinvolti, dall’azienda al consumatore finale.

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