Come risarcire il danno da concorrenza sleale

Come risarcire il danno da concorrenza sleale – Quantificazione danno concorrenza sleale: come calcolare il risarcimento nella concorrenza sleale

Giovanni Adamo

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Come risarcire il danno da concorrenza sleale

Si pronuncia il Tribunale di Rieti con una interessante Sentenza del 18 luglio 2020 in materia di concorrenza sleale e su come calcolare il risarcimento

Se manca la potenzialità lesiva del comportamento slealmente concorrenziale la domanda formulata ai sensi del n. 3 dell’art. 2598 c.c. va comunque rigettata

Il Tribunale, nella Sentenza in commento, compie un’osservazione preliminare, rilevando che l’art. 2598, n. 3, c.c., diversamente dalle ipotesi di cui ai nn. 1 e 2 della medesima norma, richiede espressamente che, per essere sanzionato, l’atto slealmente concorrenziale sia comunque idoneo a generare un danno. In mancanza di tale potenzialità lesiva l’illecito di cui al n. 3 dell’art. 2598 c.c. non sussisterebbe.

Come risarcire il danno da concorrenza sleale: i criteri di liquidazione

Quantificazione danno concorrenza sleale: occorre considerare la diminuzione degli utili

Tanto premesso, in merito ai criteri risarcitori il Tribunale rilevava come, in relazione al lucro cessante (che costituisce solitamente la “posta” di maggiore entità nei casi di concorrenza sleale) occorre considerare la diminuzione degli utili conseguente alla lesione provocata dall’illecito (cfr. C. 7869/1997; A. Bologna 21.1.1993; T. Milano 28.10.2003; T. Venezia 8.6.2000), nonché la minore crescita degli utili medesimi rispetto a quella che si sarebbe realizzata, in forza di una valutazione prognostica, nel caso di mancata concretizzazione dell’illecito concorrenziale (cfr. T. S. Maria Capua Vetere 9.6.1982). In questo senso, la Suprema Corte ha stabilito che “il lucro cessante per effetto della concorrenza sleale per imitazione servile della forma del prodotto dell’impresa concorrente può essere determinato attraverso l’analisi dei bilanci, ovvero dei conti economici del danneggiato, purchè si identifichi lo spazio di mercato dentro il quale la confondibilità, che costituisce l’essenza dell’illecito summenzionato, è stata realizzata” (cfr. Cass. civ. Sez. I, 22/08/1997, n. 7869). Ancora, con maggiore chiarezza esplicativa, si è osservato che “per poter procedere alla liquidazione equitativa del danno è corretto servirsi di parametri quali la diminuzione delle vendite che si è verificata dopo l’illecito, e che non è dipesa dall’andamento del mercato, e la perdita di utile per minor fatturazione della società lesa, nel medesimo periodo. A tale danno va aggiunto poi quello derivante dall’aumentato costo per la creazione di un nuovo mercato (difficoltà connesse al reperimento di una nuova clientela, da invogliare sovente con riduzioni di prezzi ed altri vantaggi per far fronte alla concorrenza)” (cfr. Corte d’Appello Bologna, 21/01/1993)“.

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