Revoca CAI: La buona fede si presume

Revoca CAI: la buona fede si presume – Il preavviso di iscrizione CAI: come provare il preavviso CAI: la buona fede del correntista

Giovanni Adamo

Interessante Sentenza del Tribunale di Termini Imerese (PA) in materia di revoca CAI ed applicazione della L. 386 del 1990. Il tribunale valorizza il ruolo della buona fede del correntista, e quello del preavviso, valutando come provare il preavviso CAI da parte della Banca (rammentiamo che il preavviso di iscrizione CAI è fondamentale: sul punto ulteriori approfondimenti in questo articolo)

Revoca CAI: la buona fede si presume – La vicenda

Il Prefetto di Palermo contestava al Sig. X, con ordinanza ingiunzione, l’emissione di ben due assegni emessi in violazione dell’art. 1 della Legge 386/1990, e l’iscrizione nella Centrale d’Allarme Interbancaria.

Il Sig. X, che non aveva mai ricevuto alcuna comunicazione dalla Prefettura in merito al divieto di emettere assegni e che, entro i termini previsti dalla Legge, aveva pagato l’importo dell’assegno maggiorato di interessi legali, spese e penale, si opponeva alla suddetta ordinanza ingiunzione.

A seguito del rigetto dell’opposizione da parte del Giudice di Pace, il Sig. X proponeva appello rilevando che il giudice di prime cure non aveva fornito alcuna motivazione in merito alla nullità della comunicazione avente ad oggetto il divieto di emettere assegni e, conseguentemente, sull’assenza di dolo e colpa nella condotta posta in essere dal Sig. X.

Il preavviso di iscrizione CAI – Le statuizioni del Tribunale

Con Sentenza n. 317 del 23 maggio 2020, il Tribunale di Termini Imerese ha accolto la richiesta di annullamento dell’ordinanza ingiunzione azionata dal Sig. X.

Come provare il preavviso CAI? E’ la Prefettura a dover dimostrare la conoscenza della revoca da parte del traente

A sostegno di tale decisione il Tribunale evidenziava che “pacifica è, nell’interpretazione della sopra richiamata norma, la giurisprudenza nel ritenere che, ai fini della configurabilità dell’illecito amministrativo di cui alla Legge 386/1990, art. 1 (emissione di assegno senza autorizzazione), come sostituito dal D.Lgs. n. 507 del 1999, art. 28, incombe alla Prefettura l’onere di fornire la prova che il traente fosse effettivamente a conoscenza della revoca dell’autorizzazione ad emettere assegni, mediante la produzione dell’avviso di ricevimento della lettera raccomandata o del telegramma con cui è stata effettuata la relativa comunicazione, ovvero mediante altre prove, orali o documentali, o presunzioni”.

Il Tribunale pertanto chiariva che, non solo l’appellata non aveva fornito la prova necessaria, ma addirittura la comunicazione non poteva considerarsi regolarmente notificata.

In particolare, la comunicazione era stata notificata con raccomandata smart, il cui avviso di ricevimento era stato sottoscritto da un soggetto terzo e, tra l’altro, senza l’invio della comunicazione di avvenuta notifica, “in spregio al principio pacifico a mente del quale la notifica a mezzo posta eseguita mediante consegna dell’atto a persona diversa del suo destinatario si perfeziona (…) con la spedizione, al destinatario medesimo, della lettera raccomandata con cui l’agente postale lo informa dell’avvenuto recapito dell’atto al terzo estraneo, pur abilitato a riceverlo”.

Se c’è buona fede, l’ingiunzione va annullata

Revoca CAI – La buona fede si presume – Accertata pertanto “la fondatezza del rilievo inerente alla sussistenza della buona fede e dell’errore scusabile in capo a parte opponente, idonei ad escludere la responsabilità dello stesso, secondo quanto disposto dall’art. 3, comma 2, della legge 24 novembre del 1981 n. 689, come anche comprovato dall’avvenuto pagamento dello stesso degli assegni per cui è causa in epoca anteriore alla notifica dell’ordinanza ingiunzione contestata”, il Tribunale accoglieva la richiesta di annullamento dell’ordinanza ingiunzione del Prefetto di Palermo e, conseguentemente, condannava lo stesso lo stesso al pagamento delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.

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