Quando il marchio è uguale al nome
Quando il marchio è uguale al nome: il marchio patronimico
Quando il marchio è uguale al nome – La tutela del marchio patronimico: cos’è e come si tutela – Protezione del marchio patronimico – Trib. Roma, 11 dicembre 2024
di Adele Marcomini – Giovanni Adamo
Quando il marchio è uguale al nome: il marchio patronimico: cos’è e come si tutela
Nel settore del diritto industriale e della concorrenza, un aspetto di fondamentale importanza è rappresentato dalla tutela del marchio patronimico e dalle relative modalità di protezione contro l’uso illecito o confusionario del nome di una persona come segno distintivo in ambito commerciale. Questo tema è stato di recente affrontato dal Tribunale di Roma con la sentenza n. 3142 dell’11 dicembre 2024, che ha fatto luce sui profili di disciplina, limiti applicativi e criteri interpretativi riguardanti l’uso del nome civile come marchio.
Nel presente articolo, approfondiremo quando il marchio è uguale al nome e in che modo si è delineato l’orientamento giurisprudenziale in Italia in merito alla protezione del marchio patronimico, alla luce della normativa contenuta nel Codice della Proprietà Industriale (d.lgs. n. 30/2005, di seguito “CPI”) e dell’art. 2598 del codice civile, che regola la concorrenza sleale.
Marchio patronimico: cos’è e quali sono i riferimenti normativi
Marchio patronimico: cos’è? Con questa espressione si fa riferimento a quel segno distintivo che, nella sua denominazione, riproduce il nome e il cognome, o anche soltanto il cognome, di una persona fisica. In Italia, la disciplina del marchio patronimico trova il suo fondamento nell’art. 8 del CPI, il quale stabilisce le condizioni e le limitazioni per registrare come marchio il proprio patronimico o quello di un terzo.
A completare il quadro normativo intervengono anche altre disposizioni:
- Art. 20 CPI: conferisce al titolare di un marchio regolarmente registrato la facoltà di vietarne l’uso a terzi non autorizzati.
- Art. 2598 c.c.: individua e sanziona le ipotesi di concorrenza sleale, in particolare quando un soggetto trae indebito vantaggio dalla notorietà di un segno distintivo altrui o genera confusione tra i consumatori.
Il legislatore italiano, con queste norme, ha inteso equilibrare due diritti potenzialmente in conflitto: da un lato la libertà di usare il proprio nome (diritto fondamentale e personalissimo, tutelato anche a livello costituzionale) e, dall’altro, la tutela del marchio come bene immateriale di proprietà esclusiva, tutelato dalle disposizioni in materia di diritto industriale e di concorrenza.
Quando il marchio è uguale al nome: l’importanza del contesto commerciale
Il marchio patronimico è un fenomeno molto diffuso in Italia, specialmente in determinati settori industriali, come quello dell’alta moda e del lusso. Basti pensare a firme iconiche quali Versace, Giorgio Armani, Prada o Valentino, dove il cognome (o talvolta il nome e cognome) funge da inconfondibile segno distintivo dell’impresa, divenendo sinonimo di qualità, stile e riconoscibilità a livello internazionale.
Nel momento in cui il marchio è uguale al nome, si crea inevitabilmente un legame fortissimo tra la persona e i prodotti o servizi offerti. Questo legame, però, può produrre effetti deleteri sul piano del diritto se non è gestito correttamente. Infatti, l’uso del nome di un individuo come marchio espone a specifiche problematiche giuridiche, soprattutto quando il nome risulta già registrato come marchio e diviene un asset di proprietà di un’impresa diversa dalla persona fisica portatrice di quel nome.
In quest’ottica, la domanda centrale diventa: come equilibrare il diritto di chi porta un certo nome a utilizzarlo nella vita privata e/o professionale, con l’interesse commerciale di chi ha registrato quel nome come marchio, talvolta con un notevole investimento di risorse finanziarie e promozionali?
La tutela del marchio patronimico: cos’è e come si tutela – tra interesse privato e diritto esclusivo
La tutela del marchio patronimico si inserisce nel più ampio alveo della protezione della proprietà industriale. Registrare il proprio patronimico consente al titolare di impedire a terzi di sfruttare il medesimo segno per prodotti o servizi analoghi, a meno che non ricorrano le eccezioni previste dalla legge (tra cui, ad esempio, un uso puramente descrittivo e non confusorio).
Tuttavia, quando si parla di protezione del marchio patronimico, occorre ricordare che il patronimico può essere, per definizione, il nome effettivo di più individui. Ne discende che ciascuna persona potrebbe avanzare il diritto di utilizzare il proprio nome in ambito commerciale, purché non si violi il marchio altrui o non si generi confusione.
È in tale contesto che i giudici italiani, supportati da una giurisprudenza consolidata, sono intervenuti per enunciare alcuni princìpi cardine:
- Il diritto al nome è un diritto della personalità, a tutela dell’identità individuale e sociale di un soggetto.
- Il diritto al marchio ha invece natura di diritto di proprietà industriale e si riferisce specificamente all’uso in ambito commerciale del segno registrato.
- La coesistenza di più soggetti con lo stesso nome in ambito imprenditoriale deve essere valutata caso per caso, tenendo conto della buona fede e della non confondibilità tra i segni distintivi.
Il caso deciso dal Tribunale di Roma: profili e dinamiche di concorrenza sleale
La sentenza n. 3142 dell’11 dicembre 2024 del Tribunale di Roma è emblematica dei conflitti che possono sorgere in tema di marchio patronimico. La controversia sottoposta all’attenzione dei giudici riguardava il nome di un noto stilista italiano, già registrato come marchio e di proprietà esclusiva di una società che ne deteneva tutti i diritti di sfruttamento economico.
- L’origine della disputa
- La società titolare del marchio lamentava l’utilizzo indebito di un particolare segno distintivo (contenente il nome dello stilista) da parte di un’altra impresa, con la quale lo stilista stesso aveva stipulato un contratto per l’uso del nome su pendagli e cartellini applicati a prodotti di pelletteria.
- Secondo la ricorrente, l’apposizione del patronimico su borse e accessori induceva i consumatori a ritenere che i prodotti provenissero dalla società titolare del marchio, generando confusione e creando un illecito vantaggio competitivo a favore della controparte.
- Il quadro normativo applicabile
- Art. 20 CPI: vieta di usare il marchio altrui senza il consenso del titolare.
- Art. 2598 c.c.: sanziona le condotte di concorrenza sleale, che comprendono sia la creazione di confusione sui prodotti sia l’agganciamento parassitario alla notorietà di un segno distintivo consolidato sul mercato.
- Azioni legali intraprese
- Inizialmente, la società titolare del marchio aveva agito in via cautelare per ottenere l’inibizione in via d’urgenza dell’uso del segno. L’autorità giudiziaria, riconoscendo la sussistenza del rischio di danno grave e irreparabile, aveva accolto tale ricorso, inibendo l’ulteriore utilizzo del patronimico contestato.
- Successivamente, per ottenere una tutela piena e definitiva, la società ha proseguito con l’azione di merito davanti al Tribunale di Roma, giungendo infine alla pronuncia oggetto di analisi.
Uso descrittivo o uso distintivo? L’importanza di non generare confusione
Uno dei punti cruciali trattati dal Tribunale di Roma concerneva la distinzione tra uso descrittivo e uso distintivo del nome:
- Uso descrittivo: si ha quando il nome di una persona viene impiegato esclusivamente per dare un’informazione neutra (es. citare il creatore di un modello, indicare lo stilista in un contesto giornalistico, nominare l’autore di un disegno), senza che ciò implichi la volontà di far credere al pubblico che quel nome funzioni come marchio identificativo del prodotto.
- Uso distintivo: avviene quando il nome è utilizzato per contraddistinguere in via esclusiva ed essenziale un prodotto o un servizio. In tal caso, assume il ruolo di vero e proprio marchio.
Il Tribunale capitolino ha sottolineato che, se il titolo e il nome (nel caso di uno stilista, per esempio) sono stati ceduti insieme al marchio, la persona fisica che originariamente portava quel nome non può riutilizzarlo in ambito commerciale senza rispettare i limiti imposti dal marchio registrato. In concreto, apporre lo stesso nome su etichette e certificati di autenticità – elementi che rivestono una funzione fortemente distintiva – rischia di generare nel pubblico l’idea che esista un collegamento con il marchio noto.
Nel caso specifico, secondo il Tribunale, l’uso del nome dello stilista su borse e accessori risultava a tutti gli effetti un uso distintivo, poiché finalizzato a sfruttare la fama del brand preesistente, inducendo i consumatori a confondere l’origine dei prodotti. Tale situazione ha comportato una violazione delle norme sulla concorrenza sleale e sulle privative industriali.
Quando il marchio è uguale al nome – Diritto al nome vs. diritto al marchio: due concetti diversi e autonomi
Un aspetto che merita particolare attenzione, e che spesso genera fraintendimenti, è la differenza tra diritto al nome e diritto al marchio.
- Diritto al nome
- Rientra nei diritti della personalità e tutela l’identità individuale di ciascuno, garantendo a ogni persona il diritto di essere chiamata o indicata con il proprio nome di battesimo o cognome anagrafico.
- Diritto al marchio
- È un diritto di privativa industriale che attribuisce al suo titolare la facoltà esclusiva di usare un segno per contraddistinguere prodotti o servizi sul mercato.
- A differenza del diritto al nome, non riguarda l’aspetto identitario in sé, bensì il valore commerciale e distintivo che il nome assume nella sfera imprenditoriale.
In caso di marchio patronimico, la cessione del marchio, che include il nome, può determinare una compressione del diritto al nome in senso commerciale: l’individuo mantiene il proprio diritto a essere chiamato con il proprio nome nella vita privata, ma non può usarlo nel medesimo settore merceologico se ciò viola i diritti di proprietà industriale del nuovo titolare.
La sentenza del Tribunale di Roma: contenuto e conseguenze
Nella pronuncia in commento, il Tribunale di Roma ha:
- Confermato il provvedimento cautelare che inibiva l’uso del marchio patronimico da parte della società convenuta e dello stesso stilista convenuto in giudizio.
- Ribadito che non esiste un divieto assoluto per il portatore del nome di usarlo in altri contesti. Tuttavia, l’uso deve avvenire nel rispetto dei principi di corretta concorrenza, evitando ogni forma di sfruttamento indebito della notorietà altrui.
- Ordinato il ritiro dal mercato di tutte le etichette e i cartellini recanti il nome contestato, in quanto idonei a generare confusione sulla provenienza dei prodotti.
- Stabilito una penale di 500 euro per ogni eventuale nuova violazione dell’ordine inibitorio.
Attraverso questa decisione, i giudici capitolini hanno voluto sottolineare ancora una volta che, in presenza di un marchio registrato, il diritto esclusivo del titolare prevale su qualsiasi altra pretesa di utilizzo commerciale dello stesso nome, anche quando appartenga alla persona fisica che lo porta.
Giurisprudenza consolidata sulla tutela del marchio patronimico: il principio dell’“elisione” (o compressione) del diritto al nome
Marchio patronimico: cos’è ed il principio dell’ “elisione” del diritto al nome – Cosa dice la Cassazione
La sentenza si colloca nel solco di un orientamento giurisprudenziale ben radicato, riconducibile a pronunce della Corte di Cassazione come la n. 3806/2015, la quale ha statuito che:
“Un segno distintivo costituito da un certo nome anagrafico e validamente registrato come marchio non può essere di regola adottato, in settori merceologici identici o affini, né come marchio, né come denominazione sociale, salvo il principio di correttezza professionale, neppure dalla persona che legittimamente porti quel nome, atteso che il diritto al nome trova, se non una vera e propria elisione, una sicura compressione nell’ambito dell’attività economica e commerciale, ove esso sia divenuto oggetto di registrazione da parte di altri […].”
Questo principio, ribadito anche dal Tribunale di Roma, chiarisce che la protezione del marchio patronimico è destinata a prevalere sull’uso commerciale del nome da parte del suo originario titolare, qualora le circostanze facciano emergere un rischio di confusione o di concorrenza sleale.
Marchio patronimico: cos’è – Quando il marchio è uguale al nome – Protezione del marchio patronimico: riflessi pratici e consigli operativi
Per chi opera in settori nei quali l’uso del nome gioca un ruolo cruciale nel branding (moda, design, ristorazione, ecc.), la sentenza del Tribunale di Roma fornisce alcuni importanti spunti:
- Registrazione tempestiva: proteggere il nome come marchio, anche quando si è portatori di quel nome, rimane la prima mossa strategica per evitare controversie.
- Contratti chiari: se un stilista (o altro professionista) cede i diritti di sfruttamento del proprio nome a una società, è fondamentale disciplinare in modo dettagliato il perimetro e la durata dell’uso, nonché i casi (eventualmente limitati) in cui il cedente potrà continuare a impiegare il suo nome sul mercato.
- Distinzione tra uso descrittivo e distintivo: nel caso in cui il nome sia già stato registrato come marchio da un terzo, un soggetto omonimo può ancora utilizzarlo in ambito professionale, purché sia chiaro che l’uso non è volto a contraddistinguere prodotti o servizi, né a trarre vantaggio dalla notorietà altrui.
- Prevenire confusione: adottare elementi grafici o denominazioni ulteriori rispetto al semplice cognome può aiutare a differenziare il proprio segno distintivo da quello di un’altra impresa, evitando illeciti conflitti di marchio.
- Consulenza legale specializzata: data la complessità della materia e i risvolti economici potenzialmente ingenti, è opportuno rivolgersi a un avvocato esperto in diritto industriale e concorrenza per tutelare al meglio i propri interessi, sia in fase di registrazione sia in fase di protezione e contenzioso.
Come possiamo aiutarti
Ci occupiamo da oltre un ventennio di casi di concorrenza sleale e di rapporti tra imprese (guarda i nostri SERVIZI), ed abbiamo trattato numerosissime ipotesi di concorrenza, svolgendo attività di assistenza e difesa a favore di imprese vittime dell’altrui slealtà concorrenziale, ovvero, viceversa, di imprese ingiustamente accusate di porre in essere atti di concorrenza sleale vietati dalla Legge.
I casi di concorrenza sleale trattati
Abbiamo trattato, in particolare, molti casi delle più varie tipologie, tra i quali, fra l’altro:
- protezione del marchio su Linkedin (Trib. Napoli, 20 maggio 2024)
- tutela del marchio (Trib. Potenza, 1 agosto 2023)
- pubblicità comparativa (Trib. Genova, 22 dicembre 2022)
- società con nome identico e tutela del marchio (Trib. Bologna, 14 novembre 2022)
- diffusione “pirata” di materiale editoriale protetto (Trib. Venezia, 4 gennaio 2022)
- appropriazione di pregi (Trib. Milano, 19 aprile 2021)
- concorrenza sleale e pirateria informatica (Trib. Ancona, 4 marzo 2021)
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