Identica denominazione e concorrenza sleale

Identica denominazione e concorrenza sleale: uso del nome come marchio – lo stesso nome per due società: denominazione sociale e concorrenza

Giovanni Adamo

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Identica denominazione e concorrenza sleale

Identica denominazione e concorrenza sleale – Uso del nome nel marchio – Si pronuncia la Corte di Cassazione con l’interessante Sentenza n. 13921 del 6 luglio 2020, nella quale affronta la problematica della possibilità per un’impresa di utilizzare il cognome del fondatore nelle proprie comunicazioni sociali allorché tale cognome faccia parte anche del marchio registrato da un’altra impresa concorrente.

Lo stesso nome per due società: denominazione sociale e concorrenza – La tesi della ricorrente

Secondo la ricorrente, la problematica della composizione degli interessi contrapposti (ossia quello del pre-adottante a riservarsi l’uso del nome commerciale, e quello degli omonimi a spendere in commercio il proprio nome) doveva essere condotta nel senso che in caso di omonimia, la ditta adottata successivamente doveva essere integrata e modificata con indicazioni idonee a differenziarla, ma non si poteva impedire agli omonimi di impiegare il proprio patronimico.

La decisione della Corte di Cassazione

l’uso del nome nel marchio è lecito, ma con delle differenziazioni

La Suprema Corte (la quale richiama anche alcune sentenze precedenti) cita l’art. 21 del Codice della Proprietà Industriale, ai sensi del quale “I diritti di marchio d’impresa registrato non permettono al titolare di vietare ai terzi l’uso nell’attività economica, purché l’uso sia conforme ai principi della correttezza professionale: a) del loro nome o indirizzo, qualora si tratti di una persona fisica“, rilevando come tale limitazione alla “persona fisica” sia stata introdotta soltanto nel 2019.

L’uso del nome come marchio: “OCCORRE DIFFERENZIARE

Ne consegue, allora, a parere della corte, che “qualora due società di capitali inseriscano, nella propria denominazione, lo stesso cognome, il quale assuma per entrambe efficacia identificante, e si verifichi possibilità di confusione, in relazione all’oggetto ed al luogo delle rispettive attività, l’obbligo di apportare integrazioni o modificazioni idonee a differenziare detta denominazione, posto dall’art. 2564 cod.civ. a carico della società che per seconda abbia usato quella uguale o simile, non trova deroga per la legittimità dell’inserimento e per il fatto che si trattasse del cognome di imprenditore individuale la cui impresa fosse stata conferita nella società; infatti anche in tale ipotesi la denominazione della società poteva essere liberamente formata

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