Violazione privacy sui social: cosa si rischia

Violazione privacy sui social – Diffusione di video senza consenso e tutela della reputazione: come agire, cosa fare

Violazione privacy sui social: cosa si rischia – Diffusione di video senza consenso – Diffusione di video intimi – Filmati non consensuali – Video non autorizzato sui social: cosa si rischia

di Adele Marcomini e Giovanni Adamo

Si pronuncia il Tribunale di Reggio Emilia con una Sentenza del 5 marzo 2025 che segna un importante punto di riferimento in materia di violazione della privacy, lesione dell’immagine personale e risarcimento del danno non patrimoniale. Il caso, peculiare per il contesto in cui si è verificato e per la notorietà delle persone coinvolte, solleva questioni complesse su responsabilità civile, bilanciamento tra libertà di informazione e dignità umana, nonché rilevanza del consenso quando ci si riferisce alla diffusione di materiale sensibile in contesti di grande risonanza mediatica.

Nel prosieguo di questo articolo, esamineremo i principali snodi giuridici della vicenda, analizzando i temi connessi alla responsabilità per diffusione di video senza consenso, video intimi non consensuali ed alla tutela dell’onore e del decoro.

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Violazione privacy sui social – Il caso concreto: registrazione e diffusione di video senza consenso dei protagonisti

La vicenda prendeva origine all’interno dei servizi igienici di una discoteca, dove una coppia – lui calciatore, lei studentessa universitaria – consumava un atto intimo. L’episodio, benché avvenuto in un luogo di uso pubblico, si è svolto in uno spazio con porta e serratura.

Tuttavia, terzi estranei hanno realizzato, a insaputa dei protagonisti, un video di circa 16 secondi. Quel che è ancor più rilevante, il filmato è poi stato diffuso via chat di messaggistica istantanea e tramite i social network, rendendo immediatamente riconoscibili i soggetti ripresi. In breve tempo, si è innescato un effetto “virale” che ha portato il video anche all’attenzione di trasmissioni radiofoniche, siti a carattere pornografico e perfino numerose testate giornalistiche di importanza nazionale e internazionale.

La “viralità” del filmato ha avuto conseguenze devastanti soprattutto per la donna, che si è ritrovata bersaglio di commenti oltraggiosi e volgari, rivolti pubblicamente e privatamente, con un danno evidente per la propria reputazione e la propria serenità psichica (sul punto cfr. anche QUESTO ARTICOLO)

Diffusione di video intimi – Le richieste di risarcimento e le tipologie di danno da violazione privacy sui social

La vittima richiedeva un risarcimento di oltre 300.000 euro  per diverse voci di danno:

  1. Danno biologico: un disturbo da stress acuto, con “disturbo dell’adattamento con ansia e umore depresso misti”, che avrebbe cagionato un “elevato quadro ansioso-depressivo” a partire dall’evento traumatico.
  2. Danno morale: una profonda sofferenza interiore, intesa come turbamento dell’animo, in ragione della denigrazione pubblica subita.
  3. Danno dinamico-relazionale: consistente nella compromissione dei rapporti sociali (con severa inefficienza nella loro gestione) e l’abbandono del corso di studi universitari, con ripercussioni sulla vita presente e futura della vittima.
  4. Lesione di beni costituzionalmente tutelati quali il diritto all’immagine, alla privacy, all’identità personale, all’onore e al decoro.

L’insieme di queste voci di danno, secondo la vittima, sarebbe stato riconducibile alla condotta illecita del soggetto che aveva realizzato il video e ne aveva permesso o agevolato la diffusione.

L’inquadramento giuridico della violazione privacy sui social: norme e principi fondamentali in materia di diffusione di video non autorizzato sui social

Dal punto di vista normativo, la fattispecie trova fondamento:

  • Nel Codice Civile: l’art. 2043 c.c. (responsabilità aquiliana) e l’art. 2059 c.c. (danno non patrimoniale) costituiscono la base su cui ancorare la richiesta di risarcimento per la lesione di diritti fondamentali che non hanno natura strettamente patrimoniale. Inoltre, l’art. 10 c.c. tutela il diritto all’immagine, proteggendo la persona da indebite ingerenze.
  • Nel Codice Penale: le norme sul reato di interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis c.p.), la violenza privata (art. 610 c.p.) e, soprattutto, la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (art. 612-ter c.p.), introdotta come reazione al fenomeno del c.d. revenge porn e di altre forme di condivisione non consensuale di materiale intimo.
  • Nella Costituzione: l’art. 2 Cost. tutela i diritti inviolabili della persona, mentre l’art. 21 Cost. garantisce la libertà di manifestazione del pensiero, sebbene sottoposta al limite del rispetto della dignità altrui. Sempre la Costituzione (art. 3, sul principio di uguaglianza) e la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo evidenziano come la reputazione e l’onore siano beni meritevoli di tutela rafforzata in uno Stato di diritto.
  • Nella Giurisprudenza nazionale ed europea: la privacy e l’immagine di un individuo, anche se noto o ripreso in un luogo di possibile accesso pubblico, godono di tutele particolari, a maggior ragione quando la diffusione avvenga in forma massiva o con valenza denigratoria.

L’esclusione della responsabilità penale e la distinzione con il piano civile

Un altro aspetto cruciale riguarda il perché, nel procedimento penale, si sia esclusa la responsabilità degli autori. Le motivazioni sono due:

  1. La toilette di un locale pubblico non rientra nel concetto di “luogo di privata dimora” richiesto dall’art. 614 c.p. (violazione di domicilio), né appare configurabile come spazio in cui ci si possa attendere quell’assoluta aspettativa di riservatezza propria di un’abitazione privata.
  2. L’art. 612-ter c.p. (che punisce la diffusione illecita di immagini a contenuto sessualmente esplicito) richiede che il materiale oggetto di diffusione fosse stato originariamente prodotto o sottratto in un contesto privato o riservato, tipicamente con un iniziale consenso. Nella fattispecie, il Giudice penale ha ritenuto mancare questo presupposto, poiché il filmato non era stato girato da uno dei due protagonisti, bensì da un estraneo, e dunque non rientrava in quei casi di “revenge porn” dove un partner diffonde contenuti creati in un contesto di fiducia.

Il procedimento civile, tuttavia, risponde a logiche diverse, imperniate sul principio del danno ingiusto e della responsabilità aquiliana. L’illecito civile, infatti, non richiede la sussistenza degli stessi presupposti del reato. È sufficiente l’esistenza di una condotta (registrazione e diffusione del video), un danno effettivo (lesione della reputazione, sofferenza morale) e un nesso di causalità tra condotta e danno.

L’esito del giudizio civile e la quantificazione del danno

Il ruolo della Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU)

Nel corso del giudizio, è stata disposta una CTU al fine di accertare la sussistenza del danno biologico-psichico. Il consulente ha ritenuto che il disagio vissuto dalla vittima – caratterizzato da ansia, irritabilità, disturbi del sonno, sensazione di precarietà esistenziale e vergogna sociale – non fosse inquadrabile in una specifica patologia diagnos­ticabile. Pertanto, pur riconoscendo l’indubbia sofferenza, la CTU non ha potuto confermare la presenza di un vero e proprio danno biologico.

Il riconoscimento del danno morale

Sulla scorta delle risultanze peritali, il Giudice ha comunque ritenuto sussistente un danno morale. Il danno morale costituisce una forma di sofferenza interiore non necessariamente legata a un riscontro clinico di natura psichiatrica: è sufficiente che la vittima abbia subito un turbamento nella sfera emotiva, un patimento connesso al fatto illecito. Nel nostro caso, la diffusione virale del video, i commenti volgari, le ripercussioni sociali e la derisione subita hanno costituito elementi più che sufficienti a confermare una compromissione della qualità di vita della donna.

Il Tribunale di Reggio Emilia ha quantificato in 25.000 euro l’indennizzo per il danno morale, tenendo conto:

  • Dell’ampiezza della diffusione (testate giornalistiche, social, siti pornografici).
  • Della notorietà dei protagonisti (il portiere di una squadra di calcio locale), che ha amplificato l’interesse mediatico.
  • Del protrarsi delle conseguenze, con la vittima identificata e additata in pubblico come “la ragazza del video”.

Principi affermati dalla sentenza: violazione della privacy sui social network nel caso di diffusione di video senza consenso

La pronuncia del Tribunale di Reggio Emilia richiama alcuni principi di indubbio rilievo pratico e giuridico:

  1. Tutela rafforzata della dignità: la libertà di ognuno di disporre di sé, anche in luoghi pubblici ma con accesso riservato (come un bagno dotato di porta e serratura), non viene meno. Registrare e diffondere immagini intime senza consenso costituisce una grave violazione della sfera personale e della reputazione.
  2. Il concetto di “colpa” della vittima non può essere esteso fino a ricomprendere situazioni in cui la persona offesa non avesse in alcun modo messo in conto la possibilità di un’illecita intrusione nella sua privacy.
  3. La distinzione tra giudizio penale e civile: il primo richiede parametri di colpevolezza più stringenti, il secondo si accontenta di accertare l’esistenza di un danno ingiusto e di una condotta illecita che l’abbia causato.
  4. Danno morale e danno biologico: la sofferenza interiore – seppur non inquadrata in una patologia clinica – può essere risarcita in via autonoma, in quanto offesa alla dignità e all’equilibrio emotivo della persona.
  5. Responsabilità solidale tra gli autori: quando il danno deriva dall’azione di più soggetti, questi rispondono in solido, lasciando alla vittima la possibilità di agire nei confronti di qualunque di essi per ottenere l’intero ristoro.

Le implicazioni pratiche per la tutela della persona

Alla luce di questa decisione, emerge con chiarezza come la diffusione di video senza consenso, o la violazione della privacy non consensuale di contenuti a sfondo intimo, specie se di natura sessuale, possa dar luogo a richieste di risarcimento danni per lesione dell’immagine e della reputazione anche a prescindere dal riconoscimento di un reato in sede penale.

In un’epoca dominata dalla comunicazione digitale, ove le informazioni si propagano con rapidità impressionante, diventa essenziale comprendere che registrare e condividere materiale audiovisivo senza il consenso espresso degli interessati integra un illecito civile (oltre a poter configurare un illecito penale, in determinate circostanze).

Conclusioni e prospettive future

La decisione del Tribunale di Reggio Emilia sottolinea, da un lato, l’evoluzione della giurisprudenza nel riconoscere tutela rafforzata ai diritti personalissimi e, dall’altro, evidenzia la complessità dei procedimenti in materia di protezione dell’immagine e della privacy. Se in sede penale, infatti, molti casi di diffusione di video intimi potrebbero non perfezionare gli estremi di specifici reati (specie quando manchino i presupposti tecnici del “revenge porn”), il giudice civile può comunque ritenere sussistente un illecito extracontrattuale, con relativo obbligo di risarcimento.

Si tratta di un richiamo forte alla responsabilità digitale, specialmente alla luce della velocità con cui informazioni, immagini e video vengono scambiati attraverso i social network e le app di messaggistica. La tutela della dignità personale passa anche attraverso un uso consapevole degli strumenti tecnologici, dove il consenso diventa elemento imprescindibile.

Oggi più che mai, chiunque subisca un torto di questo tipo ha la possibilità di chiedere un immediato intervento non soltanto in sede penale, ma soprattutto in sede civile, per ottenere la rimozione del contenuto e un risarcimento che tenga conto del dolore morale e del danno all’immagine subiti.

Diffusione di video senza consenso e violazione privacy sul social – Come possiamo aiutarti

Ci occupiamo da più di venti anni di tutela della persona, e di illeciti perpetrati mediante violazione privacy sui social, così come anche di revenge porn (sul punto cfr. QUESTO ARTICOLO), ed abbiamo ottenuto anche rilevanti provvedimenti a contenuto risarcitorio nella medesima materia (Leggi la sentenza)). 

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