Kipoint, confermata la condanna

Kipoint, confermata la condanna anche dal TAR per la diffusione di messaggi pubblicitari ingannevoli

Kipoint, confermata la condanna – Il TAR Lazio respinge il ricorso proposto da Kipoint – Divisione franchising di Posteshop S.p.A. – per la riforma del Provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato del 30 marzo 2010, n. 20951, con il quale l’AGCM giudicava ingannevoli i messaggi pubblicitari diffusi da Posteshop  e volti a promuovere la rete in franchising Kipoint.

Il messaggio pubblicitario diffuso nel 2008 da Posteshop indicava un fatturato annuo realizzabile dagli affiliati alla rete di franchising Kipoint di € 200.000, e rappresentava la rete di franchising Kipoint come solida e in grande crescita.

La Soc. Kipoint esponeva i seguenti motivi di accoglimento del ricorso:

1. in via preliminare l’incompetenza dell’AGCM a sanzionare la pubblicità che non risulti allo stesso tempo ingannevole e comparativa, nonché la non corretta applicazione, ratione temporis, della normativa di riferimento;
2. la violazione dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento, nonché di libertà di iniziativa economica privata. Sul punto il franchisor  proponeva, inoltre, questione di illegittimità costituzionale con riferimento alla normativa vigente prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 145 del 2007;
3. Il gravato provvedimento sarebbe, ancora, viziato sotto i profili della carenza di istruttoria, del difetto di motivazione e di contraddittorietà, in quanto i messaggi pubblicitari erano rispondenti alla realtà.
4. Infine Kpoint – Posteshop chiedeva la riduzione del valore della sanzione in quanto “incongruo e sproporzionato”.

l TAR Lazio ha rigettato tutti i motivi confermando quanto giudicato dall’AGCM, in quanto il messaggio risultava ingannevole sotto un duplice profilo: in primo luogo il fatturato realizzabile indicato nella pubblicità veniva, in realtà, raggiunto solo da alcuni affiliati; in secondo luogo e con riferimento alla crescita del network propalata, la pubblicità taceva delle numerose chiusure e del trend negativo di crescita. Ma procediamo con ordine.

Il TAR ha respinto il primo motivo ritenendo « La censura, basata su di una lettura parziale e riduttiva del dettato normativo sia nazionale che comunitario, non ha pregio ». Infatti le disposizioni della Direttiva contemplano due distinte fattispecie ascrivibili ad ipotesi di pubblicità ingannevole e comparativa. Ancora, con riferimento al primo motivo, la Soc. ricorrente censurava l’applicazione delle disciplina di cui al D.Lgs. n. 145 del 1007 a fattispecie oggetto di segnalazioni riferite agli anni 2005 e 2006. Il TAR ha respinto anche questo motivo argomentando che le fattispecie giudicate ingannevoli si riferiscono al 2008 cui, ratione temporis, è stato correttamente applicato il Decreto Legislativo n. 145/07.

Kipoint, confermata la condanna

Con riferimento al secondo motivo del ricorso il TAR ha precisato che il D.Lgs. 145/2007, punendo la pubblicità ingannevole, tutela la libertà di scelta e persegue l’interesse pubblico al libero esercizio di attività imprenditoriali ed alla libertà di iniziativa economica. Pertanto il Giudice ha rilevato la manifesta infondatezza della questione di illegittimità sollevata.

Con riferimento al terzo motivo Kipoint argomentava la asseita carenza di istruttoria sulla circostanza che l’Autorità avrebbe analizzato la posizione di soli 10 franchisee su 109. Orbene Il TAR ha rilevato che l’Autorità ha posto a fondamento dell’impugnato provvedimento l’elenco dei punti in franchising con indicazione della data di apertura e di eventuale chiusura, nonché l’esame delle informazioni fornite dai punti vendita, in merito al fatturato annuo realizzato fino al 2009. A tenore dei motivi della sentenza, infatti, «quanto alla presentazione, di cui ai contestati messaggi, della rete in franchising come in grande crescita, con l’obiettivo di raggiungere l’apertura di 130 punti vendita per la fine del 2008, l’Autorità ha basato le proprie valutazioni sull’esame del tasso di crescita della rete come testimoniato dal numero di punti vendita aperti e chiusi nel periodo di tempo intercorrente tra il 2005 ed il 2009, che testimonia un calo del relativo tasso di crescita, essendo il numero dei punti vendita chiusi in costante aumento a decorrere dal 2006. […] Parimenti ingannevoli devono ritenersi i messaggi che prospettano il fatturato medio annuo realizzabile a regime dai punti vendita quantificandolo in circa 200.000 euro, posto che, in esito all’istruttoria svolta e sulla base della documentazione raccolta – tra cui si ricordano le informazioni rese dagli stessi punti vendita ed i bilanci acquisiti d’ufficio – tale risultato economico non trova adeguato riscontro nei dati raccolti (disponibili dalla società ricorrente sulla base delle royalties riscosse), e non risulta realisticdamente realizzabile in via ordinaria dai punti vendita, trattandosi di un traguardo raggiunto solo da pochi affiliati.»

Kipoint, confermata la condanna

Con riferimento, infine, al quarto motivo del ricorso il TAR ha ribadito la congruità della sanzione comminata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato in primo luogo in quanto non risultava provato che la Soc. Kipoint avesse posto in essere “misure concrete volte ad attenuare o eliminare le conseguenze della violazione”, in secondo luogo «Avuto riguardo alla dimensione economica del professionista, la cui valutazione serve a garantire l’effettiva efficacia deterrente della sanzione pecuniaria, sono stati puntualmente valutati l’appartenenza della società ricorrente al gruppo Poste ed al fatturato realizzato, mentre, in ragione dell’invocata sussistenza di perdite economiche, l’importo base di 130.000 euro, inizialmente quantificato in applicazione dei criteri di cui al citato art. 11, è stato ridotto ad euro 100.000».

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